IL CONTESTO NORMATIVO
Il contratto di abbonamento in palestra ed in piscina, sia esso commisurato ad un certo numero di ingressi o stabilito ad accesso libero per un determinato arco temporale, è un contratto a prestazioni corrispettive nel quale una parte (il gestore della palestra) si impegna a mettere a disposizione un servizio e l’altra parte (il cliente) si impegna a pagare un determinato prezzo per quel servizio.
Se nel corso del contratto si verifica una causa sopravvenuta e non imputabile al gestore che, di fatto, gli impedisce di eseguire la sua prestazione allora si applicano gli artt. 1463 e 1464 del codice civile (a seconda che la impossibilità sia temporanea o definitiva).
Quanto previsto in questi due articoli riguarda una modalità di risoluzione del contratto.
A rilevare è anche, sotto un diverso ma complementare aspetto, l’art. 1256 c.c. circa il configurarsi di una condizione di estinzione dell’obbligazione sempre per causa sopravvenuta e non imputabile al debitore.
COME COMPORTARSI?
Come comportarsi quindi se, nei mesi addietro, si è sottoscritto un contratto di abbonamento o si sono acquistati ingressi in una palestra o piscina che, per effetto delle disposizioni normative per la prevenzione del contagio da Covid-19, è rimasta chiusa e non ha offerto i propri servizi?
A) Abbonamento per arco temporale (es. trimestrali, semestrali, annuali)
Si applica la previsione del secondo comma dell’art. 1256 c.c., con la conseguenza che il rapporto contrattuale si trova in una sorta di sospensione destinata a cessare con il termine delle misure restrittive e quindi con la riattivazione del servizio.
- Se sarà scaduto l’intero periodo di durata del contratto l’utente avrà diritto alla restituzione di una somma di denaro commisurata al periodo di chiusura della struttura e, dunque, al periodo di mancata prestazione dei servizi venduti;
- Se residuerà un ulteriore periodo di vigenza contrattuale l’utente avrà diritto sempre al rimborso per il solo periodo di chiusura della struttura (in applicazione di quanto disposto dall’art. 1464 c.c.), ma non anche per il periodo in cui le attività sportive potranno riprendere ed il gestore sarà nuovamente posto nella condizione di eseguire la sua prestazione.
B) Abbonamento commisurato ad un certo numero di ingressi con scadenza temporale.
Al termine delle misure restrittive, l’intera somma corrisposta andrà divisa per il numero complessivo di ingressi acquistati e si avrà diritto alla restituzione di un importo equivalente al numero degli ingressi per i quali la prestazione non è stata eseguita (applicazione specifica di quanto disposto dall’art. 1464 c.c.)
C) Abbonamento commisurato ad un certo numero di ingressi senza alcuna scadenza temporale.
Al termine delle misure restrittive l’utente potrà quindi avvalersi del suo diritto di accedere ai locali e di usufruire del servizio recuperando gli ingressi già pagati ma non goduti.
Se invece, al termine del periodo “forzato” di chiusura, la palestra o la piscina non dovesse più riaprire?
In tal caso si configurerebbe un vero e proprio inadempimento contrattuale da parte del gestore che andrebbe dallo stesso motivato per vagliarne l’eventuale incolpevolezza.
Se, infatti, la sospensione del servizio nel periodo emergenziale appare giustificata dai provvedimenti normativi che hanno imposto la chiusura della struttura, il protrarsi dell’inadempimento e la mancata messa a disposizione dei servizi già pagati configureranno una responsabilità contrattuale in capo al gestore il quale non solo dovrà risarcire il consumatore per il servizio non goduto ma dovrà anche, nel caso, restituire quanto già incassato per un servizio che non sarà più in grado di offrire per il futuro.
LA TUTELA DEL CONSUMATORE
Le disposizioni di cui agli art. 1463 e 1464 c.c. possono essere oggetto di deroga tra le parti le quali, nel dettato contrattuale, possono decidere in autonomia di regolare diversamente il rischio della mancata esecuzione della prestazione.
Tuttavia quando il contratto ricade nell’ambito di operatività del Codice del Consumo, per il consumatore scatta una ulteriore tutela.
Infatti eventuali clausole che escludano o rendano più gravoso, per il consumatore, l’esercizio dei rimedi previsti dagli artt. 1463 e 1464 cod. civ. (e aggiungerei dall’art. 1467 cod. civ.) sono da considerarsi nulle, rientrando nell’elenco delle clausole che, ai sensi dell’art. 33 Codice del Consumo, si presumono vessatorie.
Agli effetti della legge si presumono vessatorie – rispettivamente – le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di “escludere o limitare le azioni o i diritti del consumatore nei confronti del professionista o di un’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista” e di “limitare o escludere l’opponibilità dell’eccezione di inadempimento da parte del consumatore“.
Con la precisazione che la previsione contemplata dalla lettera b) è sanzionata da nullità anche laddove il professionista fornisca la prova che il contratto cui la clausola accede è stato oggetto di trattativa privata, giusto il disposto dell’art. 36 del Codice del Consumo.